Così Facebook influenza le nostre emozioni

Foto modificata da Jeremy Keith Follow, Morning in the Spengler householdFacebook è in grado di influenzare le nostre emozioni: lo hanno dimostrato loro stessi, con un esperimento condotto all’insaputa degli utenti: se i nostri “amici” su Facebook condividono contenuti ottimisti e positivi, tendiamo ad essere positivi anche noi, mentre ogni foto, frase o video di segno negativo tende a farci vedere le cose un po’ più nere.  Lo ha rivelato un test condotto dal social network in collaborazione con due università americane (Cornell University e University of California).

Per una settimana, nel corso del 2012, i tecnici di Facebook hanno alterato l’algoritmo che determina la visualizzazione degli aggiornamenti nelle pagine di 700 mila utenti, senza che questi ultimi lo sapessero. Le persone sono state divise in due gruppi: al primo venivano nascosti gli aggiornamenti di segno negativo, lasciando in evidenza solo quelli contenenti parole come “amore”, “bello”, “dolce”, eccetera. Al secondo veniva fatto il contrario, nascondendo i post positivi e facendo in modo che venissero in primo piano espressioni come “antipatico”, “dolore”, “brutto”, e così via. Il risultato è stato che quelli del primo gruppo tendevano a loro volta ad esprimere sentimenti positivi e il contrario avveniva nel secondo gruppo.

Le conclusioni dei ricercatori sono che gli stati emotivi possono essere trasferiti da una persona all’altra, senza che la seconda ne possa avere la stessa consapevolezza. Ma la notizia principale è che ciò può avvenire all’interno di Facebook, un ambiente del tutto artificiale dove siamo comunque emotivamente molto influenzabili. Secondo i ricercatori è interessante aver scoperto che per il contagio emotivo non sono affatto necessari elementi come la comunicazione in presenza o gli indizi non verbali.

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Le conseguenze

Questo esperimento è molto interessante e pieno di conseguenze concrete per ciascuno di noi.

  1. Tutto ciò che consumiamo con la mente influisce grandemente sul nostro modo di pensare, di provare sentimenti e di interagire con gli altri. Già abbiamo visto come Facebook sia un mezzo di consumo culturale passivo, dove sono gli altri a decidere cosa leggiamo o vediamo e perciò dobbiamo scegliere con molta cura le persone e le pagine di cui seguire gli aggiornamenti.
  2. Facebook è un ambiente nel quale ci troviamo a nostro agio (anche perché siamo circondati da persone che per lo più la pensano come noi), divertente e piacevole. Ma è molto più artificiale di quanto tendiamo a credere. Questo esperimento lo conferma solamente, perché già sappiamo quanto sia pieno di persone e organizzazioni che vi agiscono con secondi fini. Ma sappiamo anche che molti aggiornamenti vengono generati automaticamente da software e non da persone e che molti altri sono in realtà “sponsorizzati”.
  3. Il fatto che l’esperimento sia stato compiuto all’insaputa degli utenti, alterando le loro conversazioni che ritenevano riservate, dimostra come la manipolazione e gli abusi siano molto facili per chi gestisce questi ambienti online, tanto più che ciò viene fatto in accordo coi “termini di servizio” sottoscritti (senza leggerli) dagli utenti stessi. Perciò bisogna entrare in questi ambienti con una doppia consapevolezza, sapendo che in quei servizi, assai redditizi per chi li gestisce, la vera merce siamo noi e come tale veniamo trattati.
  4. Il contagio emotivo non vi ricorda qualcosa? Nell’ultimo articolo abbiamo parlato dell’effetto del passante, una delle tante dimostrazioni della nostra innata tendenza a imitare gli altri, la spinta forse più forte per determinare i nostri comportamenti. In passato ci sono stati molti manipolatori delle coscienze che arringavano le folle nelle piazze o tramite la radio, per spingerle ad andare in guerra o a sterminare qualche minoranza. Per il futuro sappiamo che i mezzi cambieranno ancora, ma la natura umana rimarrà più o meno sempre la stessa. Attenzione dunque.
[L’immagine è una rielaborazione da una foto di Jeremy Keith, Regno Unito]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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