
Secondo la metafora della rete di Indra, l’universo è concepito come una rete interconnessa di gemme che riflettono l’intera esistenza. Ogni cosa è interdipendente e ogni azione ha un effetto a catena nell’universo.
L’Avatamsaka Sutra, un antico testo buddhista, contiene una metafora che concepisce l’universo come un’enorme rete che si estende all’infinito in ogni direzione, proteggendo e accudendo la vita nella sua interezza, senza escludere nulla. Al punto di intersezione di ciascun nodo della rete c’è una lucente gemma, sfaccettata e riflettente. Grazie alle sue molte facce, ciascuna gemma riflette ogni altra, generando una vasta rete di sostegno di tutta l’esistenza. L’infinito numero di gemme presenti su una rete di tali proporzioni è inimmaginabile, per non parlare degli innumerevoli riflessi in ciascuna gemma. Nessuna gemma esiste senza le altre. Nessuna è a sé stante. Sono tutte interdipendenti dalla presenza delle altre. Se ne appare una, appaiono tutte. Se non ne appare una, non ne appare nessuna. Se comparisse un puntino nero su una qualunque delle gemme, comparirebbe su tutte.
La rete di Indra è un’immagine efficace per descrivere l’incessante, libera compenetrazione e mutua interdipendenza di tutto quanto esiste. Ogni azione, ogni parola, ogni pensiero (ricordi, desideri, paure, bisogni, frustrazioni, felicità, o benessere) produce effetti a catena nell’universo. Niente e nessuno resta escluso da questa mutua risonanza, dalla globale interazione. Come ci ricorda il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh, portiamo nel cuore non soltanto le gioie e i dolori personali, ma le gioie e i dolori della società. Quando si compie un’azione che fa bene a se stessi, si fa del bene al mondo. Quando si compie un’azione che fa male a se stessi, si fa del male al mondo. Dunque si può concepire il Dharma come la legge fondamentale della vita: la vita è una, e ogni cosa ed evento partecipa di questa totalità indivisibile. Seguire gli insegnamenti dei Dharma significa agire in armonia con l’interrelazione di tutte le cose. Ogni azione ha un effetto e ogni effetto conduce a una causa nell’infinita trama della vita. Il maestro zen Robert Aitken parla di questa interrelazione nel suo libro The Mind of Clover:
Voi e io veniamo in essere come possibilità della natura essenziale; sebbene soli e indipendenti come stelle, rispecchiamo il tutto e il tutto si rispecchia in noi. La mia vita e la vostra sono il continuo attualizzarsi di una solitudine assoluta e un’assoluta intimità.
Il che pero non significa che voi, io, il nostro vicino di casa e i singoli abitanti del pianeta siamo sprovvisti di un’individualità personale. Chiaramente le differenze individuali danno luogo alle innumerevoli varietà della vita. Anche se noi in quanto esseri umani abbiamo in comune il novantanove per cento dei geni, il restante uno per cento è sufficiente a determinare le differenze individuali che vengono poi plasmate da ereditarietà, cultura, società, educazione, e via dicendo. Quindi, se da un lato siamo individui, dall’altro siamo soltanto parte di un quadro più vasto e non siamo l’intero: l’io è completamente autonomo, eppure esiste solo in risonanza con tutti gli altri ‘io’.
Quest’ultima frase ci ricorda il paradosso insito nel lavoro con i precetti. Se da un canto i precetti ci chiedono di osservare e indagare i pensieri, le parole e le azioni di cui siamo individualmente responsabili, è vero anche che impariamo a capirci grazie alla nostra risonanza con gli altri. Non possiamo conoscere altro che noi stessi, eppure dobbiamo interagire con gli altri per scoprire chi crediamo di essere.
Da: Diane E. Rizzetto, Sevegliati a ciò che fai!, Astrolabio Ubaldini, 2006
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