Avere ragione o essere felice

Nel corso di una discussione che sembra non avere vie d’uscita e che anzi, potrebbe degenerare, lasciando strascichi nelle relazioni tra le persone, molto spesso basta un semplice trucco. Una volta riconosciuto di essere impegnati in una controversia senza costrutto, è sufficiente ripetersi mentalmente questa frase: “voglio avere ragione o voglio essere felice?” Di solito, è più che sufficiente per acquisire quel po’ di lucidità in più che serve e lasciare andare, smettendo di impegnarsi in una battaglia senza senso e senza possibilità di vittoria: quella tra chi vuole dimostrare di essere dalla parte della ragione.

Ma si può fare anche qualcosa di più e andare alla radice dei conflitti. Specialisti di molte discipline diverse si sono dati da fare, nel corso del ventesimo secolo, per mettere a punto pratiche per superare i conflitti attraverso il dialogo, come ad esempio i metodi di Gary Friedman nati in ambito legale, che abbiamo appena visto. Un altro apporto fondamentale – e utile, dal punto di vista pratico – l’ha dato Marshall Rosenberg, psicologo statunitense che ha creato la comunicazione non violenta, un processo di comunicazione che aiuta le persone a scambiarsi le informazioni che possano servire a risolvere pacificamente i conflitti e superare le differenze reciproche.

Secondo questa scuola, l’uomo non è nato per i conflitti. Se li scatena, è perché pensa – a causa di abitudini e condizionamenti – di non avere altre strade per soddisfare i propri bisogni. C’è la necessità, dunque, di capire quali sono questi bisogni, confrontarli con quelli degli altri e capire se sono effettivamente contrastanti o meno. Si tratta come sempre di lavorare prima di tutto su noi stessi, per prenderci le nostre responsabilità ed evitare di accusare o etichettare il prossimo. Nelle situazioni pratiche, nel momento in cui nasce o sta per nascere il conflitto, quello che bisogna fare è, per prima cosa, osservare oggettivamente cosa accade dentro e attorno a noi, senza giudicare, né valutare. Porre l’attenzione su cosa proviamo, anziché su cosa pensiamo o come interpretiamo la situazione. Con la consapevolezza, possiamo far emergere i bisogni reali che sono alla base dei nostri sentimenti. È un atto d’amore verso noi stessi, che è il presupposto per capire i bisogni reali dell’altra persona. L’approccio basato sui bisogni aiuta a uscire dalla perversa logica del giusto e dello sbagliato, della ragione e del torto.

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Da: Paolo Subioli, “Zen in the City“, Edizioni Mediterranee, 2015.

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