Una proposta per la pace: mandare amore a chi provoca più sofferenza
Ho una proposta per la pace tra Israele e Hamas: generare tutto l’amore di cui siamo capaci e aprire il nostro cuore alla compassione per coloro che di quel conflitto sono i protagonisti. Ma non a quelli che pensiamo siano dalla parte della ragione. A tutti. Anzi, soprattutto a coloro che si sono macchiati e continuano a macchiarsi delle peggiori atrocità.
Che proposta naif! Penseranno in molti. Può darsi. La politica non è il mio mestiere e non ho proprio idea di cosa si possa fare concretamente in questo momento perché si stabilisca una pace dura;tura in Medio Oriente.
Ma da qualche parte dovremo pur cominciare. Non possiamo fare nulla per convincere le parti in campo, entrambe guidate da leadership estremiste che hanno tutto l’interesse al radicalizzarsi del conflitto. Ma possiamo fare due cose utili:
- cercare di capire come sia possibile che ancora oggi succedano cose del genere;
- cominciare a lavorare su noi stessi, quali parti integrate e inseparabili di una realtà fortemente interconnessa e che include anche Israele, Hamas e i palestinesi.
L’urgenza di capire
Cominciamo dalla necessità, anzi dall’urgenza di capire perché succedono queste cose in un periodo storico nel quale sembrava che certe forme di violenza ce le fossimo lasciate alle spalle. Cominciando proprio da quest’ultimo punto, bisogna ammettere che noi cittadini europei siamo piuttosto viziati. È da 80 anni che non vediamo una guerra tra i Paesi occidentali europei, Paesi che per secoli si sono massacrati peggio di quanto sta succedendo in Palestina. Ormai anche molti nostri concittadini anziani possono dire di non aver mai visto direttamente una guerra. Questa ci sembra la normalità, una sorta di conquista della modernità. Ma non è proprio così, perché di guerre continuano a essercene parecchie, nel mondo. L’Europa, anche in questo, è un’area privilegiata. O per lo meno l’Unione Europea.
Ma soprattutto c’è la necessità di capire come sia possibile che così tanti giovani mediorientali siano disposti a sacrificare la vita per distruggere i propri avversari, e che le maggioranze di quelle popolazioni stiano sostenendo le leadership più estremiste.
Qui ci viene in aiuto la poesia “Chiamami con i miei veri nomi” di Thich Nhat Hanh. In questi versi il maestro zen, ispirandosi a fatti realmente accaduti, evoca il suicidio di una ragazzina vietnamita in fuga dal proprio paese sopra una barca, dopo essere stata violentata da un pirata. Sono la bambina, dice Thich Nhat Hanh, ma sono anche il pirata. Viviamo un un mondo dove tutto è estremamente interconnesso. Non possiamo sentirci separati da nulla e da nessuno. Ma dobbiamo anche riconoscere di non sapere qual è il “background” del pirata, che lo ha portato a compiere un atto del genere.
Allo stesso modo, pur inorridendo di fronte a ciò che hanno fatto i miliziani di Hamas entrando in Israele, come posso capire lo stato d’animo di un ragazzo cresciuto nella privazione totale della speranza? Senza capire le ragioni profonde di quello che sta succedendo, difficilmente sarà possibile lavorare per una soluzione realistica.
La necessità di lavorare su noi stessi
Gli echi dei fatti di Gaza hanno subito dilagato in tutto il mondo, provocando reazioni spesso violente, sia dal punto di vista verbale – nei giornali e sui social – che fattuale, nei vari attentati compiuti da fanatici isolati. Questo ci dimostra come siamo tutti strettamente interconnessi, persino da un punto di vista puramente emotivo. La violenza a migliaia di chilometri di distanza provoca altra violenza in casa nostra.
Proprio per questo intuiamo che possiamo fare qualcosa. Possiamo generare un’energia che vada nella direzione contraria, un’energia di pace e amore. Il nostro modo di essere influenza la cerchia ristretta delle nostre frequentazioni, ma per questo non è poco importante. Siamo dei tasselli di un modo fortemente interconnesso, nel quale ciascuno ha un proprio ruolo. Come le cellule di un organismo. Pur essendo tantissime – miliardi, nel caso del nostri corpo – è sufficiente che una sola cellula si ammali per portare al degrado tutto l’organismo.
La pratica di portare la pace partendo da noi stessi
Nella tradizione buddhista c’è una pratica – la metta – che consiste nel generare un sentimento di gentilezza amorevole a partire da se stessi, per poi estenderlo prima alle persone care, poi a quelle per noi neutrali, e infine ai “nemici”, cioè a persone nei confronti delle quali abbiamo o abbiamo avuto qualche problema. È una pratica di guarigione profonda, che ci fa stare bene perché fa emergere le nostre migliori qualità.
Tali qualità si diffondono verso il mondo, attraverso i pensieri, le parole e le azioni che generiamo. Se coltiviamo le nostre migliori qualità – di ascolto, pace, amore – miglioreremo la qualità di nostri pensieri, parole e azioni. I pensieri, le parole e le azioni che generiamo sono la nostra eredità. È ciò che rimarrà di noi quando non ci saremo più. Non abbiamo altro modo per rendere migliore il mondo.
Pertanto vi propongo una pratica di “metta” che esplora diversi aspetti della compassione, dall’amore per i propri cari alla difficile arte di estendere la compassione anche a chi ha commesso atti riprovevoli. La meditazione si articola nel modo seguente.
- Introduzione e rilassamento: si inizia con un focus sul corpo, cercando di rilassare eventuali tensioni e di essere consapevoli delle sensazioni fisiche, come il respiro e il battito cardiaco.
- Amore e compassione per i cari: c’è l’invito a visualizzare una persona amata, concentrandosi sul desiderio di felicità e benessere per lei. Si esplora il concetto di compassione attraverso tale connessione emotiva.
- Compassione per persone difficili: questa parte è più impegnativa, poiché invita a estendere la compassione anche a persone che hanno commesso atti di violenza estrema. Si esamina la propria reazione emotiva a queste figure e si cerca di offrire loro desideri di benessere.
- Auto-compassione e guarigione: si torna a focalizzare l’attenzione su se stessi, riconoscendo il potere della compassione nel guarire divisioni e alienazioni. Si esplora la possibilità di lasciar andare il dolore e il risentimento.
- Conclusione e respiro: si conclude tornando al respiro, utilizzandolo come mezzo per generare pace interiore. Si inviano pensieri di amore e pace a tutti coloro coinvolti in conflitti.
- Uscita dalla meditazione: uscendo lentamente dalla meditazione, si cerca di mantenere la connessione con il respiro e preparandosi a affrontare le sfide future
Abbiamo praticato questa meditazione nel corso dell’ultimo incontro della nostra “community”, un gruppo di persone che da tutta Italia si ritrova regolarmente per praticare online – una volta a settimana, ma anche su un gruppo Facebook privato – e a volte in presenza. Se vuoi seguire a meditazione guidata, ti invito a vedere il video che segue, riservato agli abbonati a Zen in the City. Se non rientri in tale categoria, iscriviti al mese di prova gratuito. Avrai 30 giorni a disposizione per partecipare anche tu a pieno titolo.
Guarda il video della meditazione guidata:
Per approfondire:
Ajahn Sumedho – Cos’è la gentilezza amorevole (mettā) e perché nella vita può essere molto utile
Thich Nhat Hanh – La responsabilità della violenza
Consulta l’indice tematico per approfondire i temi trattati qui: metta, gentilezza amorevole, pace, guerra, interdipendenza.
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