Eco-ansia: 4 modi per affrontarla con la meditazione
Quella dell’eco-ansia, cioè la paura cronica della catastrofe ambientale, è una manifestazione tipica del nostro tempo. Potremmo definirla la malattia del secolo. In questo articolo spiegherò in breve che cos’è, attingendo alle varie fonti disponibili. Ma soprattutto offrirò una panoramica dei migliori suggerimenti per affrontarla per tempo, senza farcene travolgere. Tali suggerimenti sono accomunati da un criterio comune: quello di prendersi cura in primo luogo della propria mente, essendo la mente stessa la causa e il luogo dove l’ansia si manifesta.
È sottinteso che uno strumento per affrontare l’eco-ansia è la psicoterapia, di cui in alcune parti dl mondo esistono già dei percorsi terapeutici ad hoc per questo problema. Qui non la prendo in considerazione, sia perché non è il mio campo, sia perché non tutti se la possono permettere, sia perché penso che l’eco-ansia sia qualcosa di molto profondo che richiede rimedi più strutturali e a lungo termine.
Indice dei contenuti
L’eco-ansia tra negazione e speranza
Toccare l’eternità con il respiro
Che cos’è l’eco-ansia?
L’eco-ansia è stata definita come “paura cronica della catastrofe ambientale” dall’American Psychological Association (APA). Ma una delle definizioni più popolari, del 2020, è “il senso generalizzato che le basi ecologiche dell’esistenza siano in fase di collasso”. Questa definizione rende molto bene l’idea di quanto sia profonda e drammatica questa forma di ansia. Sullo sfondo c’è perfino l’ipotesi dell’estinzione della stessa specie umana.
La diffusione dell’eco-ansia è un fenomeno relativamente recente, connesso alla sempre maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica degli effetti dei cambiamenti climatici. Dunque potremmo definire l’eco-ansia come una forma scientificamente fondata e sempre più diffusa di paura del futuro. Se anche personalmente non siete angosciati, dovete riconoscere che il nostro tempo è fortemente condizionato da un pessimismo di fondo che permea tutto.
Questa paura è destinata a crescere, man mano che si allenteranno le pressioni sui media delle varie lobbies interessate a negare il fenomeno. I leader politici, parallelamente, avranno sempre più interesse a occuparsi (o fingere di occuparsi) del problema. Inoltre la nostra eco-ansia crescerà quando ci renderemo conto, come opinione pubblica, che non si sono solo i cambiamenti climatici, ma anche la crisi ecologica. Se ne parla ancora poco, ma gli scienziati dicono che è in corso anche un altro fenomeno, non meno preoccupante: la sesta estinzione di massa della storia della Terra, la prima di origine umana. La scomparsa sempre più veloce delle altre specie viventi (tremila ogni anno) prefigura scenari apocalittici.
L’eco-ansia tra negazione e speranza
Ma non voglio spaventarvi più di quanto lo siate già. Probabilmente siete già abbastanza consapevoli di questi problemi. A meno che non abbiate già messo in atto la strategia della negazione come meccanismo di difesa, come già fanno in molti.
Quello che invece voglio fare è proporvi delle possibili risposte adeguate all’eco-ansia. Quando c’è qualcosa che non va, che tipo di speranza possiamo avere? Ci sono a mio parere 2 tipi di speranza:
- la speranza che le cose vadano diversamente. È un atteggiamento tipicamente fideistico, tipico delle religioni, che tende ad affidarsi a forze esterne, più che altro soprannaturali. L’ipotesi è che il problema possa essere in qualche modo risolto;
- la speranza di riuscire a trovare una risposta adeguata. In questo sito abbiamo parlato più volte della differenza tra reagire e rispondere e proposto sul tema letture come questa e questa.
Qui tratteremo solo il secondo tipo di speranza, quello realistico, rispetto al quale possiamo fare qualcosa. Il maestro per eccellenza di tale approccio è stato Siddharta Gotama (566 – 486 a.C.), altrimenti noto come il Buddha. I 5 tipi di risposta che vi proporrò sono tutti direttamente o indirettamente riconducibili ad approcci buddhisti. Ricordo che il buddhismo è qui inteso non come religione ma come metodo di cura alla sofferenza umana basato sugli insegnamenti pratici del Buddha. È un metodo intrinsecamente ecologico, perché si fonda su principi come ad esempio l’interdipendenza, molto affini all’ecologia come scienza.
Toccare l’eternità con il respiro
Per il maestro zen Thich Nhat Hanh, la soluzione all’eco-ansia è usare la meditazione per affrontare direttamente e accettare la realtà dei fatti, inclusa la possibilità di estinzione della nostra stessa civiltà. Una volta raggiunta questa accettazione, possiamo portare un senso di pace e chiarezza alle nostre azioni, in modo che abbiano maggiori possibilità di successo. La situazione attuale è anche un importante promemoria per vivere profondamente e pienamente il tempo che abbiamo su questo pianeta, sapendo quanto sia fragile e preziosa questa opportunità.
Nell’intervista mostrata in questo video (in inglese), concessa all’ambientalista David Suzuki, Thich Nhat Hanh dice che dobbiamo accettare l’idea che questa civiltà venga distrutta, così come è avvenuto in passato per molte altre civiltà. Il maestro zen paragona questa situazione a quella di una persona malata di cancro che sa di avere poco tempo a disposizione. Una volta accettata la malattia, cerca di godersi al meglio il tempo che le rimane.
Più concretamente, per affrontare l’eco-ansia dobbiamo lavorare a livello mentale, tramite la meditazione, per evitare che la disperazione ci sopraffagga. Il tipo di meditazione che ci propone è di guardare in profondità. In questo caso, guardare la nostra civiltà e vederne l’impermanenza.
Accettare la realtà non significa essere passivi: “L’accettazione può portarci la pace e con tale pace abbiamo la forza e possiamo agire per cambiare la situazione”. Inoltre, “meditare significa guardare in profondità; guardando in profondità, si ottiene l’intuizione. Con quell’intuizione si è liberi dalla disperazione e dalla rabbia, e si è un lavoratore migliore per l’ambiente”.
Thich Nhat Hanh dice anche che “dobbiamo imparare a toccare l’eternità con il nostro respiro, toccare l’eternità nel momento presente. L’estinzione delle specie è avvenuta diverse volte. L’estinzione di massa è già avvenuta cinque volte e questa è la sesta. Secondo la tradizione buddista non c’è nascita né morte. Dopo l’estinzione le cose riappariranno in altre forme, quindi bisogna respirare molto profondamente per riconoscere il fatto che noi umani potremmo scomparire tra soli 100 anni sulla Terra”.
Ma il segreto sta anche nel non sentirci separati dall’ambiente naturale e dalla Terra:
“Abbiamo parlato dell’ambiente come se fosse qualcosa di diverso da noi, ma noi siamo l’ambiente. Gli elementi non umani sono il nostro ambiente, ma noi siamo l’ambiente degli elementi non umani, quindi siamo uno con l’ambiente. Noi siamo l’ambiente. Noi siamo la Terra e la Terra ha la capacità di ristabilire l’equilibrio e a volte è necessario che molte specie scompaiano, affinché si ristabilisca l’equilibrio”.
La Via di Mezzo tra Paura e Speranza
Un approccio all’eco-ansia che trovo molto utile è quello proposto da Domyo Burk. Domyo è una prete zen statunitense, autrice dello Zen Studies Podcast, un podcast che personalmente seguo e vi consiglio.
La sua proposta è molto buddhista e ragionevole al tempo stesso:
Quando contempliamo il futuro, può sembrare che abbiamo solo due opzioni: paura o speranza. Se non possiamo evocare la speranza, possiamo evitare di pensare al futuro per sfuggire alla paura. Fortunatamente, la Via di Mezzo buddhista offre un’alternativa. Invece di rimanere bloccati nella paura o aggrapparci disperatamente alla speranza, ci rifiutiamo di rimanere intrappolati in uno dei due estremi. Possiamo percorrere un sentiero dinamico di pratica, affrontando il futuro con gli occhi aperti, pur rimanendo reattivi e liberi.
I due estremi, oltre che come paura e speranza, si manifestano anche in altri modi. Ad esempio, come ossessione e negazione:
- l’ossessione per la crisi climatica è tipica di chi non fa altro che informarsi su questi temi, aumentando l’eco-ansia e la propria disperazione vedendo che tale ossessione non è affatto condivisa dalla maggioranza:
- la negazione è oggi il sentimento più diffuso – non pensarci e basta – alimentato anche dai media, che non vogliono dare rilievo a notizie poco attraenti.
Seguire la Via di Mezzo non significa trovare un compromesso tra paura e speranza, né tra ossessione e negazione. Non è una specie di posizione politica di centro, a metà strada tra destra e sinistra. Seguire la Via di Mezzo consiste nel guardare in faccia la realtà, osservando le nostre reazioni a ciò che si presenta momento dopo momento. Questo ci consente di capire, con tutta la calma necessaria, qual è la risposta più adeguata alla situazione. La Via di Mezzo non si basa su una visione fissa. È la volontà di vivere deliberatamente per minimizzare la sofferenza e massimizzare la felicità, la pace e la saggezza. Quando contempliamo il futuro, dobbiamo coltivare la consapevolezza per vedere, nella nostra esperienza, quando siamo catturati da un estremo e quando dall’altro. Allora possiamo chiederci: qual è la via di Mezzo?
La stessa postura bilanciata della pratica zen è l’espressione tangibile della Via di Mezzo.
Mentre sediamo, ci esercitiamo a lasciar andare lo sforzo di anticipare e controllare, che è una manifestazione del nostro senso di piccolo sé. Nel tempo, possiamo acquisire fiducia nella forza vitale di cui facciamo parte. Proprio come rispondiamo a questo momento, risponderemo ai momenti futuri. Le cose sorgeranno, alcune saranno dolorose, altre meravigliose. Le risposte sorgeranno dentro di noi e le cose passeranno.
Domyo Burk ci invita a scoprire quanto sia prezioso liberarci dalla dipendenza dalla nostra narrativa su ciò che sta accadendo. Possiamo trovare coraggio e potere, rispetto all’eco-ansia, bilanciando i tre ingredienti della pratica:
- affrontare la verità (portare testimonianza);
- rimanere forti (prenderci cura);
- agire (impegnare il mondo con generosità).
Insieme è meglio
Affrontare l’eco-ansia da soli è possibile, ma farlo insieme è meglio. Joanna Macy può esser considerata quale punto di riferimento per il lavoro di gruppo sulle paure nei confronti del futuro. Joanna Macy è una scrittrice, attivista per l’ambiente, studosa del buddhismo ed espoente della cosiddetta Ecologia Profonda. L’Ecologia Profonda è una filosofia ambientale che promuove il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi indipendentemente dalla loro utilità strumentale ai bisogni umani, e la ristrutturazione delle società umane moderne in accordo con tali idee. Il contributo di Joanna Macy in tema di eco-ansia è riconducibile principalmente al Work that Reconnects (WTR), letteralmente “il lavoro che riconnette”.
Il Work that Reconnects (WTR) si è inizialmente evoluto in Nord America alla fine degli anni ’70, durante un periodo di crescente preoccupazione per le armi nucleari e i pericoli dell’energia nucleare come “lavoro di disperazione e potenziamento”. I creatori di questa iniziativa compresero che “quando le persone condividono i loro sentimenti di paura, angoscia o disperazione con gli altri, il loro potere di agire per il cambiamento viene rilasciato”.
L’ipotesi di partenza di Joanna Macy è che l’eco-ansia sia alimentata in primo luogo dalla negazione:
Come società, siamo presi tra un senso di apocalisse imminente e la paura di riconoscerla. In questo luogo ‘incastrato’ le nostre risposte sono bloccate e confuse…. A un livello manteniamo una capacità più o meno ottimistica di andare avanti come al solito…. e nel frattempo, sotto sotto, c’è questa consapevolezza incoerente che il nostro mondo potrebbe finire in qualsiasi momento. Impressionante e senza precedenti nella storia dell’umanità, è in agguato lì, con un’angoscia che va oltre il nome. A meno che non troviamo il modo di riconoscere e integrare quel livello di consapevolezza angosciosa, lo reprimiamo; e con la repressione, siamo svuotati dell’energia di cui abbiamo bisogno per agire e pensare chiaramente.
La proposta di Joanna Macy non si attua dunque a livello individuale, ma di gruppo. Il Work that Reconnects può contare su una rete di facilitatori a livello mondiale, Italia compresa, e si sostanzia in una forma speciale di workshop. Questi workshop guidano i partecipanti attraverso una “spirale” che aiuta ad affrontare le sfide del mondo con occhi nuovi e un senso di radicamento, appartenenza ed energia. La spirale inizia con la gratidudine, la quale “ci aiuta a radicarci prima di continuare a onorare il nostro dolore per il mondo”, come racconta la facilitatrice Gwyneth Jones.
I workshop di The Work that reconnect possono durare da poche ore a diversi giorni e includere attività come meditazioni guidate, giochi di ruolo, rituali, opportunità di scrittura libera, esercizi fisici, canto, poesia.
Anche se non centra niente, questo approccio all’eco-ansia mi fa pensare ai curdi. Durante l’assedio di Cizre da parte dei turchi, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, la popolazione della città dovette vivere le ore drammatiche che precedettero l’ultimatum del governo, scaduto il quale cominciarono feroci bombardamenti. I cittadini di Cizre vollero passare quelle ultime ore non rintanati in casa, ma per strada, tutti insieme, a cantare e ballare. L’episodio è documentato dal bellissimo docu-film Kurdbun. Anche nel film Don’t Look Up (2021), il professor Mindy sceglie di passare le ultime ore prima della fine del mondo insieme agli amici e alla famiglia, rifiutando l’invito a salire su un’astronave in fuga su un altro pianeta. Insomma, se questa fosse veramente l’ultima fase della storia dell’umanità, potremmo scegliere di viverla a contatto con la parte migliore dell’umanità che è in noi.
Curare l’eco-ansia con il “tonglen”
Il tonglen è una pratica a mio parere molto adatta all’eco-ansia e, più in generale, a tutti gli stati di sofferenza diffusa che l’umanità deve periodicamente affrontare. Il tonglen è tipico della tradizione mahayana, e in particolare del Buddhismo Tibetano. Come saprete, in questo sito c’è molto interesse verso il Buddhismo, senza fare troppi distinguo tra una tradizione e l’altra.
La parola tonglen significa “dare e ricevere”. La pratica del tonglen consiste nel prendere su di sé la sofferenza – di altri o anche propria – con l’inspirazione, e di dare gioia e felicità con l’espirazione. Detta così può sembrare una cosa un po’ naif, ma invece è una pratica molto profonda ed efficace. Inoltre può contare su una tradizione antica (dal X secolo d.C.) e sul sostegno di grandi maestri come ad esempio Pema Chödrön e Alan Wallace.
Come dice proprio Pema Chödrön, “il tonglen è un metodo per superare la nostra paura di soffrire e per sciogliere la durezza dei nostri cuori”. È qualcosa di fondamentale, in tempi di incertezza sul futuro e di eco-ansia, proprio perché le prospettive incerte provocano in noi automaticamente chiusura.
Ma il tonglen è anche un metodo per risvegliare la compassione insita in tutti noi. Questo è molto importante, perché in tempi di privazione e sofferenza collettiva, la compassione è l’antidoto più efficace.
Esiste una versione specifica del tonglen per l’eco-ansia e la potete trovare nella sezione “Esercizi di meditazione” di questo sito. Siccome tale sezione è riservata agli abbonati a Zen in the City, vi sintetizzo in cosa consiste la pratica.
Si inizia riconoscendo la fondatezza del proprio sentimento di eco-ansa. Poi si passa a sentire il proprio legame di profonda interdipendenza rispetto alla Terra e agli altri esseri. Poi si visualizza una qualche entità che soffre particolarmente di danni ambientali e climatici, e le si tira fuori la sofferenza, per darle in cambio compassione. Infine si prende compassione dalla Terra stessa per restituirle gratitudine. Nella pagina di questa pratica potete trovare il testo completo della meditazione guidata.
La sintesi di questa pratica, ma anche delle altre che ho citato, è di trasformare la propria eco-ansia in motivazione a guarire gli altri. Ecco, la differenza radicale rispetto a sentimenti come l’ossessione o la negazione è proprio questo doppio registro. Da un lato, riconoscere l’ineluttabilità del disastro ambientale. Dall’altro, attivarsi per ridurre al minimo la sofferenza di tutti gli esseri, umani e non. Soprattutto la sofferenza non necessaria.
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