Dal commento pubblicato da Paolo Subioli su Yoga Journal:
La poesia di Martha Postlethwaite risponde a un dilemma classico della spiritualità: dobbiamo prima cambiare il mondo o noi stessi? Tutti i percorsi spirituali, per definizione, prescrivono la priorità sul lavoro interiore, a parte i molti casi in cui la religione si è intrecciata con la politica. Ma se leggiamo una poesia – tanto più se “mistica” – è meglio che lasciamo perdere i grandi sistemi e ci concentriamo so ciò che quei versi possono significare per noi.
Il filosofo Alan Watts diceva che il lavoro interiore non ha mai fine, ma man mano che procede conferisce alla mente quella tranquillità che le serve per attingere alla realtà. Comprendere se stessi è il prerequisito per una trasformazione nelle nostre relazioni immediate e nel mondo in cui viviamo. Del resto, come possiamo pretendere di cambiare addirittura il mondo se non riusciamo a far cessare la sofferenza né in noi stessi, né nella nostra ristretta cerchia di relazioni?
Ma dopo tutto, il mondo va davvero cambiato? Funziona allo stesso modo da milioni di anni e voler mettere mano a certi meccanismi ha un che di narcisistico, un certo sapore di superbia. Il mondo è sì degno di essere salvato, dice la poetessa, ma quello che dobbiamo capire è come “darci” ad esso, accettando le regole del gioco.
Dalla rubrica “Poesie mistiche” di Yoga Journal.