Relazioni interpersonali nell’era digitale
Una rubrica di Monica Bormetti.
ELIZA: questo era il nome del primo software di analisi del linguaggio umano creato dal Prof. Weizenbaum nel 1966. Fu un passo importante della tecnologia che entrava nel territorio delle relazioni. Il programma riusciva a decodificare, grazie a una serie di algoritmi, il linguaggio della persona che scriveva al computer e il passo successivo era la risposta che il software dava in modo da costruire una conversazione. Il progetto nacque come un’idea modesta ma che ben presto ricevette parecchie attenzioni anche all’esterno del MIT. Weizenbaum stesso era stupito di quanto chi utilizzava ELIZA si lasciasse coinvolgere emotivamente dal computer.
Ecco quindi che quando si parla di relazioni mediate dalla tecnologia o con una tecnologia, le domande sono molte e le risposte non così semplici. Un incontro online vale tanto quanto un incontro in un caffè? Quale è più significativo? Più vero? Più sincero?
L’essere umano è un animale sociale, abbiamo bisogno di entrare in relazione, di scambiarci informazioni e passare del tempo in compagnia. Nel tempo la compagnia però è cambiata, ora parte delle nostre relazioni e scambi sociali avvengono con/attraverso dei media digitali.
La rivoluzione del Tamagotchi
Negli anni ’90 sbarcarono nelle vite di molti i Tamagotchi. Se oggi hai meno di 25 anni probabilmente non sai di che sto parlando, ma per tutti gli altri credo vi ricordiate dei piccoli animaletti virtuali che ad un certo punto hanno popolato gli zaini dei bambini ma anche le borse delle mamme. La diffusione di questi gadget, allora considerati dei divertenti giochini senza particolari implicazioni, ha segnato l’inizio delle relazioni tecnologiche, in termini affettivi.
Da allora abbiamo fatto parecchi passi avanti e l’industria di giocattoli ha creato infiniti altri prodotti che fossero “esseri robotici” che invogliavano ad una relazione, quasi un’amicizia oserei dire. Il Tamagotchi ha segnato quel punto di non ritorno in cui un elemento virtuale ha iniziato ad entrare nella nostra sfera intima e ci ha fatto desiderare di averlo per semplice compagnia e non tanto per aiutarci a sbrigare delle faccende pratiche. Fino a quel momento la tecnologia e i robot erano utilizzati per aiutare l’uomo in certe attività che non implicavano uno scambio affettivo (aspirapolvere, tosta pane, ecc.). Dopo il Tamagotchi c’è stato anche Furby, quel simpatico animaletto creato alla fine degli anni ’90, di cui pare siano stati venduti più di 40 milioni di esemplari in tutto il mondo.
Dalle reborn ai sexbot
Nel tempo le nostre relazioni con elementi tecnologici si sono evolute e oggi ormai sono diffuse le Reborn per esempio, bambole molto realistiche che raffigurano un bebè e che spesso vengono acquistate da donne che le trattano come un figlio (pare che ci sia anche chi cerchi una baby sitter per la propria bambola mentre è al lavoro). Ma se la donna trova nelle bambole robotiche uno sfogo per il proprio desiderio di maternità, l’uomo trova nei sexbot (la nuova generazione tecnologica di bambole gonfiabili per capirci) una soluzione per rispondere alle proprie esigenze di piacere. Si tratta di una suddivisione alquanto sessista, che deriva proprio da ciò che si trova sul mercato oggi.
Anche Netflix racconta di relazioni robotiche
L’ultimo episodio dell’ultima, appena uscita, stagione di Black Mirror (serie tv su Netflix) ci parla dello stesso tema. In “Rachel, Jacket and Ashley too” infatti si vede proprio la storia di un’amicizia che nasce tra una ragazzina di 15 anni e una bambola creata a immagine e somiglianza della pop star in voga al momento. Un essere robotico è creato con degli algoritmi tali da mostrare alla persona di capire ciò che intende e sentire ciò che sente. Ma mostrare è differente dal sentire, un robot non può sentire ma può mostrare un comportamento che induca l’altro a pensare che stia provando proprio quell’emozione. Razionalmente lo sappiamo bene tutti quanti eppure nello studio delle relazioni tra uomini e umanoidi, nella pratica sembra che spesso questa distinzione vada a perdersi. Quindi se vediamo una bambola robotica che allunga le braccia verso di noi, solleva gli estremi delle sue labbra probabilmente il pensiero che molti avrebbero è qualcosa di simile a “che tenera mi vuole abbracciare”. In realtà un software la sta muovendo in determinati modi, tutto qui.
In conclusione, prendiamo atto dell’impatto che la tecnologia ha sulle relazioni che costruiamo e che desideriamo costruire. L’importante, nonostante quando scritto sopra, è ricordare anche gli effetti positivi che il digitale continua ad avere da un punto di vista relazionale. Pensiamo per esempio alla facilità con cui oggi si entra in contatto con persone in luoghi completamente diversi dal nostro e anche di estrazioni socio-economiche apparentemente lontane da noi. Con una videochiamata ci si sente molto più vicini e connessi che con una lettera cartacea, questo è un valore aggiunto della tecnologia da un punto di vista delle relazioni interpersonali, che non va dimenticato.

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